Il prossimo 3 settembre, come ogni anno da molti anni, si svolgerà il test d’ingresso per la facoltà di Medicina. Un appuntamento atteso quanto temuto da migliaia di studenti che in un solo giorno si giocheranno il loro futuro. Dentro o fuori. Perché diventare medici è prima di tutto una questione di numeri. Sotto un certo punteggio, fuori dalla graduatoria nazionale. Ma dei 60.000 che tenteranno di accedere ai corsi quanti conoscono perché esiste questa prova e da quanto tempo?

La storia del numero chiuso

Il camice bianco, in passato un po’ più che oggi, ha sempre assicurato a chi lo indossava un certo status. Vuoi per il ruolo svolto, vuoi per le conoscenze acquisite, vuoi perché era la testimonianza tangibile del coronamento di un lungo iter formativo. Basti pensare che, da sempre prerogativa dei ceti più elevati, fino al 1923 la facoltà di Medicina era accessibile solo a chi avesse frequentato il liceo classico; salvo ammettere, da quell’anno in poi, anche chi provenisse dal liceo scientifico. Già cent’anni fa, quindi, veniva eseguita la prima grande selezione sulla futura classe medica del Paese. Dobbiamo aspettare il 1969 perché la facoltà di Medicina venga aperta a tutti i possessori di un diploma di maturità, qualunque fosse. Una grande opportunità per tantissimi di realizzare il loro sogno, salvo presto scontrarsi con la dura realtà. In pochi anni ci siamo ritrovati infatti con troppi medici rispetto al bisogno dei pazienti. Si aggiunga che nella seconda metà degli anni ’80 l’Unione Europea ha chiesto a tutti i Paesi membri di assicurare un certo standard qualitativo per l’istruzione universitaria. Alcuni atenei decisero così, spontaneamente, attraverso decreti rettoriali, di introdurre un test di ammissione.

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La legge del numero chiuso

A introdurre il numero chiuso per legge fu, nel 1987 tramite apposito decreto, l’allora Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Ortensio Zecchino. Una svolta non soltanto per Medicina, ma per gran parte delle facoltà a carattere scientifico, che sanciva il principio di relazione tra il numero di studenti e la capacità delle singole strutture di ospitarli, la disponibilità dei professori, la possibilità di svolgere laboratori e lezioni. Non tutto andò però liscio come doveva: numerosi furono infatti i ricorsi. Tanto che si dovette arrivare al 1999 perché tale decreto ministeriale diventasse legge. Legge dichiarata legittima dalla Corte Costituzionale nel 2013, dopo che il Consiglio di Stato aveva sollevato la questione, appunto, sulla sua legittimità.

I posti per numero chiuso stabiliti dalla legge

Ma di che numeri parliamo? I posti per gli studenti sono progressivamente aumentati, almeno fino al 2014, per poi diminuire, seppur di poco, fino al 2018. Si è infatti passati dai 7.106 per l’anno accademico 2000/2001 ai 10.440 del 2014. Un boom che ritroviamo anche quest’anno, con un +18% rispetto al 2018, con 11.568 posti disponibili. Più posti, vero, ma anche più affluenza al test. Basti pensare che se nel 2004/2005 a sostenere la prova erano 33.657 candidati, nel 2013/2014 erano invece 63.043.

È possibile abolire il numero chiuso?

Da anni si parla della possibilità di eliminare il sistema a numero chiuso per l’accesso a Medicina. Un cambiamento drastico rispetto al presente. Si sta infatti facendo strada una forma alternativa di selezione ricalcata sul modello francese. Prevedrebbe l’iscrizione aperta a tutti con però uno sbarramento alla fine del primo anno. A proporla è stato il rettore dell’Università degli Studi di Ferrara Giorgio Zauli, che vorrebbe iscrizioni a sportello aperte a tutti, fino al raggiungimento del numero massimo di studenti che la singola università è fisicamente in grado di ospitare. Alla fine del primo semestre continueranno gli studi solo gli studenti che avranno la media del 27, agli altri saranno invece convalidati i crediti in altre facoltà scientifiche, senza così perdere nulla.