Sommario
Il dibattito sull’accesso al corso di laurea in Medicina continua ad animare il panorama politico e accademico italiano. Al centro, la proposta della Ministra dell’Università e della Ricerca Anna Maria Bernini, che da tempo spinge per un ampliamento dei posti disponibili. Dopo aver promosso una revisione del numero chiuso – di fatto rimandando solo di qualche mese la selezione degli studenti – ora il Governo propone di aumentare di 3.000 unità le immatricolazioni a Medicina. Una misura che, secondo la Federazione CIMO-FESMED, rischia però di alimentare un’altra emergenza: quella della disoccupazione medica.
Numeri in crescita, opportunità in calo
I dati diffusi dalla Federazione CIMO-FESMED parlano chiaro. Nell’anno accademico 2025-2026 saranno poco meno di 24.000 i nuovi iscritti a Medicina, con una previsione di laureati pari al 94% entro il 2031. Si stima quindi l’entrata in scena di oltre 22.000 nuovi medici entro il 2031, che però non potranno inserirsi subito nel mercato del lavoro. Dovranno infatti attendere la conclusione delle scuole di specializzazione, che durano dai 3 ai 6 anni. Il loro ingresso effettivo nel Servizio sanitario nazionale avverrà quindi tra il 2034 e il 2037.
Il crollo dei pensionamenti: un dato allarmante
In parallelo, i pensionamenti nella categoria medica subiranno una brusca frenata. Secondo la tabella elaborata da CIMO-FESMED, si passerà dai 14.918 pensionamenti previsti nel 2025 ai soli 4.864 nel 2040. Un’inversione di tendenza dovuta al superamento della cosiddetta “gobba pensionistica” che aveva gonfiato i numeri nei decenni passati. Il risultato? Un evidente squilibrio tra chi entra e chi esce dal sistema.
Un rapporto sempre più squilibrato: da 1,5 a 4,9 in 15 anni
Il dato più emblematico è il rapporto tra iscritti a Medicina e medici in pensione. Se nel 2025 per ogni medico che lascia il lavoro ci sono 1,5 studenti pronti a intraprendere la professione, nel 2040 quel rapporto salirà a 4,9. Questo significa che, proseguendo su questa linea, ci saranno quasi cinque nuovi aspiranti medici per ogni posto che si libera nel sistema sanitario. Una dinamica che potrebbe generare un surplus di oltre 220.000 medici entro il 2040, secondo le stime del sindacato.
Il rischio concreto: una nuova pletora medica
Tutto ciò rischia di riportare l’Italia indietro di decenni, ai tempi della “pletora medica”, quando il numero di medici superava ampiamente il fabbisogno nazionale. Una condizione che, secondo CIMO-FESMED, porterà a gravi conseguenze: precarizzazione del lavoro, stipendi più bassi, aumento del ricorso al settore privato e, soprattutto, una nuova ondata di “fuga di cervelli”. Ogni medico che emigra rappresenta non solo una perdita di professionalità, ma anche uno spreco economico per il Paese, che ha investito oltre 150.000 euro nella sua formazione.
CIMO-FESMED: «Decisioni politiche, non tecniche»
«Siamo passati dalla pletora medica, all’imbuto formativo, alla carenza di specialisti e ora rischiamo di tornare alla pletora», denuncia il presidente di CIMO-FESMED, Guido Quici. Il sindacato, nello specifico, accusa i Ministeri dell’Università e della Salute di non riuscire a programmare in modo razionale il fabbisogno di personale medico. “Le decisioni – sostiene Quici – vengono prese più per fini elettorali che per reale necessità del Paese. A pagarne il prezzo, ancora una volta, saranno i giovani medici e le loro famiglie”.