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Negli ultimi giorni si sono registrati almeno quattro casi in cui studenti – principalmente in Veneto (Padova, Belluno, Treviso) e anche in Toscana e Marche – hanno scelto di non sostenere la prova orale dell’esame di maturità, pur essendo già in possesso dei crediti e dei voti necessari per ottenere il diploma. La notizia ha diviso l’opinione pubblica e sollevato un dibattito tra forte critica istituzionale e riflessioni più sfumate sul senso dell’esame.
Protesta simbolica o “ritirata strategica”?
Secondo alcuni commentatori – tra cui presidi e ministri – si tratta di gesti plateali o strategie di comodo, messe in scena solo dopo la sicurezza della promozione, sfruttando un vuoto normativo.
Antonio Giannelli, presidente dei presidi, ha definito queste azioni «esibizionismo» e chiede che ogni prova diventi obbligatoria affiancata a una valutazione minima individuale.
E il ministro dell’Istruzione Valditara ha annunciato l’intenzione di rendere obbligatoria la prova orale, prevedendo la bocciatura per chi sceglierà di non presentarsi o “non collaborare”.
Atto di dissenso o richiesta di ascolto?
Un altro filone interpretativo vede in questi rifiuti un segnale legittimo di insoddisfazione dei ragazzi nei confronti di un sistema che premia la quantità di punteggi e crediti più che il senso critico, la crescita personale o il benessere psicologico.
La Rete degli Studenti Medi, infatti, ha parlato di “dissenso civile” e ha dichiarato che “c’è bisogno di ascolto più che di giudizio”. Esperti citano la teoria di Bandura sull’autoefficacia: gli studenti sanno di poter superare l’esame anche senza orale, e agiscono cercando di attirare l’attenzione sulle distorsioni sistemiche.
Riflessioni sul significato dell’esame
Secondo la preside di Padova, non si è trattato di coraggio, ma di una scelta comoda, fatta al termine degli scritti. Tuttavia, riconosce l’esistenza di una tensione generazionale legata al rapporto con la valutazione.
La studentessa di Belluno, invece, ha reso esplicite le motivazioni: ha criticato la mancanza di empatia docente, l’idea della scuola come “fabbrica dei voti” e l’eccessiva competitività.
Sbalzi tra diritto al dissenso e rispetto della regola
Da un lato, l’azione degli studenti viene letta come un gesto individuale, a rischio di scivolare nella “performance individualista” priva di spinta collettiva. Dall’altro, viene interpretata come un segnale forte dal basso, che spinge a ripensare l’orale come momento di dialogo e non solo di formalismo.
Nel frattempo, il legislatore si muove: da un lato verso misure punitive (bocciatura), dall’altro verso un possibile ampliamento della valutazione orale, con soglie minime a partire dal 2026.
Oltre il gesto, un sistema da ripensare
Il gesto di rifiutare l’orale di maturità è multidimensionale: può essere disinteresse o calcolo, protesta o richiesta di ascolto. Sta al dibattito pubblico intercettare le criticità in emergenza:
- il valore dell’orale come dialogo e non come semplice formalità
- la pressione sulla performance e la sua incidenza sul benessere degli studenti
- il ruolo delle prove scritte, dei crediti e del loro peso nel punteggio finale
Serve un confronto serio e collettivo: tra studenti, insegnanti, famiglie, istituzioni. Solo così la maturità potrà tornare ad essere un rito che forma, non solo un ostacolo da superare.